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Ragno Nero#12.

 

Intrighi. 4

 

Di Yuri N. A. Lucia.

 

 

 

 

Non avevi l’ordine di riportare qui Taro?

Hijiro san, sai benissimo che trattare con Taro non è mai stato semplice: lui ama fare di stato semplice: lui ama fare d”

“Come del resto anche tu, Saguro. Ascolta, Hidetora non ha gradito la mia scelta di mandarti a prelevare Taro negli Stati Uniti, ma l’ha comunque tollerata, anche se di malanimo, dunque stai ben attento a non deludermi, oppure insieme alla mia testa, cadrà anche la tua.

Non devi aggiungere altro: Kuro Neko sarà riportato a casa, e presto.

Me lo auguro per te: mi aspetto un tuo nuovo rapporto tra ventiquattro ore.

 

Aka Kuni mise giù il telefono, con un sorrisetto di sufficienza e pensò:

Hijiro, Hijiro… credi ancora di potermi comandare a bacchetta, vero? Come se fossi un bambino… è sempre stato così, vero? Ti sei sempre sentito molto intelligente, ma io conosco tutti i tuoi piccoli segreti, e ti tengo in pugno, più di quanto tu possa immaginare, e ben presto sarò io a dirigere l’orchestra, e allora tu e il vecchio me la pagherete entrambi…

Si girò e incontrò lo sguardo della signora che stava aspettando il suo turno per telefonare, e questa assunse un espressione imbarazzata.

“Mi scusi se ci ho impiegato un po’.”

Disse facendo un leggero inchino.

“Oh, di nulla…”

Si allontanò e questa commentò a bassa voce:

“Maledetti musi gialli… mi dispiace che non vi abbiano abbrustoliti tutti quanti con la bomba atomica.

 

Ao Ryu fissava il telefono, meditabondo, e sollevò lo sguardo solo dopo un quarto d’ora, posandolo sul fedele  Ikura, ancora con il capo chino in silenziosa attesa.

Hidetora, non è per nulla soddisfatto della mia scelta, e questo mi sta costando parecchio: sorveglia ogni mia attività, discute ogni mio ordine, fosse anche il più banale, e i suoi fedeli mi evitano accuratamente, rifiutandosi di appoggiare le mie richieste. Il Concilio dei quattro, è dalla mia parte solo formalmente, ma non si espongono quando si tratta di dimostrarlo con i fatti.

Proprio come sua signoria aveva previsto.” Rispose in tono ossequioso e compiaciuto l’anziano servitore” Se posso permettermi, direi che le cose stanno andando persino meglio di come avesse sperato, e Aka Kuni si comporta come desiderato.

Mandandolo negli Stati Uniti, ho raggiunto un doppio scopo: ho allontanato quella serpe da palazzo in modo che con i suoi intrighi non possa infastidirmi, e ho fatto in modo di far ricadere su di lui la morte di Taro: gli Hanchu , mi hanno confermato che due giorni fa, ha cercato di ucciderlo e non di convincerlo a tornare indietro o catturarlo. Di questo ne ero certo: Taro è un rivale pericoloso per lui, inoltre non verrebbe giustiziato senza un processo; anche se non è più nelle grazie di Hidetora, conserva ancora le prerogative del suo rango, e parlando, potrebbe rivelare particolari interessanti sulle attività di Aka Kuni.

Nel frattempo, lo Yu Tora, si sta isolando sempre di più: ormai fa affidamento solo sul corpo degli Oni, i suoi guerrieri personali, e i Quattro, anche se non vi appoggiano nei fatti, non appoggiano neanche più lui: la mossa di riuscire a creare questo clima di sfiducia, è stata vincente; al Consiglio delle Famiglie, Hidetora non ha più la stessa autorevolezza di un tempo, e il suo non volere affrontare le famiglie rivali affidandosi al suo giudizio, viene interpretato come un segno di debolezza.

All’interno, ormai, può contare solo sugli Oni, ma ormai anche i Kuma, oltre agli Hanchu, vi sono fedeli, mentre all’esterno, non potrà contare sull’aiuto di nessuno. Ora è questione di poco tempo: il vostro matrimonio è imminente, e sancirà il vostro definitivo passaggio ad una posizione di comando.

“Ne sono felice.

Disse con un’improvvisa espressione di stanchezza sul volto.

Ma, principe, perché non ne gioite?

Di cosa, amico mio? Del fatto che le mie nozze saranno macchiate di sangue?

Mio signore, capisco i vostri scrupoli, ma sapete quanto me che ogni altra soluzione è impossibile: lo Yu Tora sta portando questa famiglia all’estinzione, e questo voi non potete permetterlo; dovete essere deciso, per quanto doloroso possa essere.

Piuttosto… lui come sta?

Bene signore, ed è al sicuro, proprio come volevate: mi sono occupato personalmente della sua sicurezza.

Molto bene: ricordati, la sua vita, è ben più importante della mia.

Ao Ryu, volse il capo verso il giardino, cercando conforto nell’armoniosa disposizione delle pietre, e nello scorrere dell’acqua, ma ormai la serenità sembrava appannaggio di tempi  passati e destinati a non tornare mai più.

 

 

Casa dei coniugi Parker, Forest Hills, Queens – Martedì ore 11.00 a.m.

 

 

M.J. passeggiava nervosamente avanti ed indietro, con tanta foga che Kaine, si trovò a pensare che il pavimento si sarebbe potuto rompere. Il pensiero era ridicolo, e per nulla adatto alla situazione, perciò lo ricacciò da dove era venuto, si alzò dalla poltrona sulla quale aveva riflettuto fino a quel momento, e fermò il folle oscillare della cognata da un punto all’altro, mettendole gentilmente le mani sulle spalle.

“Oddio! Devo sembrarti una specie di matta, o una forsennata, o…”

“Mary, mi sembri solo una donna e soprattutto una mamma preoccupata, e non c’è nulla di più naturale, vista la situazione.”

La consolò lui con dolcezza.

“Kaine! Mi dispiace: non riesco a stare ferma da quando mi ha telefonato la polizia, e non posso fare a meno di pensare che potrebbe venire qui, per cercare me e Gayle, e che la piccola May…”

Si interruppe, portando entrambe le mani davanti la bocca, per impedire a quella frase che aveva formulato dentro di sé di uscire fuori, e giungere alle sue stesse orecchie, infrangendo le ultime speranze che nutriva.

Tentò di calmarsi, rendendosi conto che quell’atteggiamento non avrebbe portato a nulla, trasse un profondo respiro, e guardò Kaine negli occhi:

“Scusami, sto dando di matto: ho bisogno di una buona tazza di latte; ti prego, prendine una con me e non dirmi di no.”

Kaine sorrise, e le rispose:

“Non oserei mai, tigre, farmi una bevuta con te è un privilegio.”

 

Si sedettero al tavolo, e cominciarono a sorseggiare dalle tazze, mentre Kaine assaporava il liquido caldo quasi con gratitudine, poiché gli dava l’impressione di riuscire a scaldare anche il suo cuore e non solo lo stomaco.

Mary Jane, riuscì a vincere la reticenza a parlare di quanto le stava accadendo, e parlò francamente a quello che aveva cominciato a considerare un membro della famiglia:

“Quando la polizia mi ha detto che era evaso di prigione, il sangue mi si è gelato nelle vene, e ho pensato di morire. Solo il pensiero di cosa sarebbe potuto accadere a May o a zia Anna, mi hanno tenuto in vita. Negli ultimi tempi sembrava essersi incattivito più di quanto già non fosse, perché vedi, devi sapere che anche all’insaputa di Peter, ho chiesto continuamente notizie su di lui, ma non per una questione affettiva, come potresti pensare, no: l’ho fatto perché mi sentivo più sicura pensando di sorvegliarlo in qualche modo; nell’ultimo anno è divenuto estremamente violento ed è finito in cella di isolamento diverse volte, ed ora questo! E’ evaso di prigione! Non so quello che potrebbe fare, probabilmente è pieno di rancore nei confronti miei e di mia sorella, e temo voglia vendicarsi di noi. So che ti sembrerò melodrammatica, ma ho un brutto presentimento.”

Kaine aveva ascoltato attentamente e, mettendole la mano sulla sua in un gesto rassicurante disse:

“Mary Jane, non penso che tu sia melodrammatica, ma semplicemente preoccupata, ed è naturale che tu lo sia. Non posso dirti che tutto va bene ed è normale, ma devi tenere conto che ci sono dei poliziotti che ora sorvegliano la tua casa: li ho visti qua fuori, sono appostati, sicuramente perché anche loro hanno tenuto conto dell’eventualità che lui venga qui; gli stanno dando la caccia, e probabilmente è questione di ore la sua cattura, ma sappi che finché non sarà avvenuta, potrai contare sul mio aiuto, e sull’aiuto della Hardy Investigation.”

“Felicia, sarebbe disposta ad aiutarmi?”

Chiese M.J. non riuscendo a mascherare un espressione di incredulità.

“So che tra di voi non è sempre corso buon sangue, ma non ti ha mai odiato, credimi. Ormai non pensa più a tuo marito, se non come un amico caro e speciale, e sarà ben lieta di aiutare sua moglie e sua figlia. C’è anche Rucker, che ci darà una mano, passandoci informazioni, e occupandosi anche lui della sicurezza della casa, anche se in maniera non ufficiale.”

“Non so come ringraziarti per quello che stai facendo, Kaine.”

“Non ce ne è bisogno. Per mia nipote e mia cognata, questo ed altro.”

“Ascolta, ora non vorrei sembrarti una pazza che si auto contraddice, ma nonostante tutto voglio continuare a lavorare durante questi giorni.”

“Non sei pazza, anzi: capisco benissimo quello che provi e cosa vuoi fare; sei molto coraggiosa e saggia, farsi vincere dalla paura non porta mai nulla di buono.”

Mary sorrise, e poggiò il mento sul dorso della mano, mentre con l’altra girava il cucchiaino nella tazza, dove aveva aggiunto un pizzico di cacao in polvere. Osservava il vortice provocato e i riflessi argentei della posata che ruotava lentamente e costantemente.

“Questo cacao è eccezionale: me lo ha portato Gayle da Syracuse; a te piace il cacao Kaine? Kaine?”

Si scosse, dopo aver indugiato su alcuni pensieri che gli erano corsi per la mente all’improvviso.

“Si, mi piace, anche troppo e questo qui è davvero delizioso. Scusa se cambio un attimo argomento, ma volevo sapere se la piccola May, avesse manifestato ancora sintomi particolari.”

“Vuoi dire… insomma, connessi alla questione…”

Chiese preoccupata lei.

“Si, precisamente.”

“No, non negli ultimi giorni almeno, ma perché me lo chiedi?”

“Niente di importante, sto ancora lavorando alla questione dei probabili poteri di May. Mangia normalmente?”

“Che vuoi dire?”

“Intendo se mangia normalmente, se non salta i pasti, se mangia molto o poco.”

“Veramente, non fa mai storie per mangiare, anzi, devo dire che mangia anche troppo, ma la pediatra mi ha detto che è addirittura un paio di kili sotto quello… Kaine, aspetta, dove vuoi arrivare?”

“Da nessuna parte, per adesso: cosa mangia principalmente?”

“Un po’ di tutto…”

“Ma c’è qualcosa che preferisce?”

“A May piace molto la… la carne…”

“May ha smesso presto di prendere il latte vero?”

“Si… lo ha preso solo per pochi giorni in realtà… ed eravamo preoccupati… ma è stata svezzata anche presto…”

“Così come ha iniziato a camminare e parlare presto. Per l’età che ha è molto sveglia: quando gioca è si concentra su quello che fa, ha un ottimo colpo d’occhio e una notevole manualità; la carne, come le piace?”

“Kaine, adesso mi sto veramente cominciando ad agitare.”

Kaine alzò le mani, facendole gesto che non stava accadendo nulla.

“Ascolta, voglio essere onesto, come ti ho già detto, a mio parere non si può pensare che May sia una mutante, ma un… ibrido tra due specie molto diverse: voglio capire in quale percentuale lo sia, cioè quanti geni di ragno siano attivi nel suo genoma, e in che modo influenzino il suo organismo; capire le sue abitudini alimentari, può aiutarmi a determinare diverse cose.”

“Capisco… May… May non gradisce la carne troppo… cotta… in effetti non ama nessun cibo troppo cotto…”

Fu come se per la prima volta Mary Jane stesse considerando quelle cose sotto una luce completamente diversa.

“Mary, solo un'altra cosa, non so se faccio bene a chiedertelo ma… vorrei, se possibile, dare un’occhiata alle cose di Peter, parlo dei suoi appunti, so che tiene dei diari in codice sulle sue condizioni fisiche, per aver un quadro completo nel corso degli anni di esse. Sono sicuro che abbia qualcosa del genere anche sulla piccola, e potrebbe essermi d’aiuto consultarli: lo chiederei a lui, ma è ancora fuori, in Scozia.”

“No.”

“Certo, capisco che…”

“Come? No, no Kaine, gli appunti, sono sicura che lui sarebbe d’accordo sul consegnarteli. Intendevo dire è in Italia, ma pensavo che tu lo sapessi…”

“In Italia?”

Chiese stupito, ricordandosi delle brutte notizie sulle tensioni tra umani e mutanti che venivano da quel paese.

“Si, ma tu, non lo hai proprio sentito?”

“Accidenti, no… voglio dire, sta bene?”

“Si, si è fatto spedire un po’ di roba per la sua missione, anche un’uniforme a bassa visibilità.”

“Eh? E che cosa sarebbe?”

“Un uniforme nera. Ora che ci penso, mi ha detto di chiederti scusa se ogni tanto ti frega il look.”

Kaine cominciò a ridere.

“Ah beh, del resto è stato lui il primo ad indossare quel modello, non posso mica dirgli di non farlo più: e poi anche io ho indossato una volta il costume rosso e blu; vorrà dire che quando mi tornerà voglia di farlo, mentre è fuori città, lo farò.”

“Il rosso e il blu stanno bene anche a te.”

“Li preferisci decisamente, vero?”

“Si…”

I begli occhi verdi di M.J. si velarono improvvisamente di lacrime, e Kaine si sentì stringere il cuore.

“Come vorrei che Peter fosse qui… ho tanto bisogno di lui… specie ora… ora che lui è tornato…”

“Hey rossa, non fare così, ultimamente sono di lacrima facile, e non mi và a genio l’idea di mettermi a piangere come un lupetto qui davanti a te. Peter tornerà presto, e se non si decide a farlo lui, lo vado a prendere io. Ricorda comunque, che, non sei sola: la tua famiglia è sempre e comunque vicino a te.”

Kaine si alzò, e le versò un altro goccio di latte nella tazza, prendendone un altro po’ per sé.

 

 

 

Greenwich Village – Un edificio abbandonato. – Ore 11.00 a.m.

 

 

Lo attendeva, vicino alla finestra i cui infissi erano quasi completamente ossidati: gran brutto lavoro, pensava, osservando come non convenisse mai spendere poco per quelle cose; avanzò con grande sicurezza e un sorriso da campione sul viso, perché ormai era finita, quella era l’ultima consegna.

“Ho qui la merce, disse allegramente, sollevando la ventiquattro ore e agitandola quasi festosamente pronta per la consegna.”

Il suo sguardo lo gelò, e si ritrovò ad ingoiare saliva all’improvviso, e nascose la mano sinistra dietro la schiena, per non mostrare il tremore che l’aveva improvvisamente colpita.

“Ne sono lieto, ma non mi pare il caso di avvertirne tutto il quartiere, ti pare?”

La sua voce era fredda, il tono tagliente, l’atteggiamento del corpo comunicava totale disprezzo per quell’uomo, considerato alla stregua di un parassita.

“Mi… mi scusi… io…”

“Poggia la valigetta sul tavolo.”

“E’ tutto ok, l’articolo è in ottime condizioni e…”

“Questo, lo giudicherò io.”

L’uomo non discusse, e posò la valigetta sull’unico tavolino la cui polvere era stata rimossa, la girò nella sua direzione, e si allontanò lentamente, per mantenere una certa distanza. L’altro, invece si avvicinò, la aprì, e dette un’occhiata dentro, ma il sorrisetto soddisfatto sul volto si spense subito.

Prese il contenuto, e lo tirò fuori, allargandolo, e la sua espressione divenne irata:

“Andava bene eh?”

“Ma s…sì! Sì! Glielo giuro!!! Glielo giuro!!! Era tut…”

“E tu come facevi a saperlo?”

Quello non trovò le parole per rispondere, e sentì la bocca seccarglisi e la forza venirgli meno alle gambe.

“Ma… io… io…”

“Avevamo un accordo, un accordo chiaro e semplice: mi avresti procurato gli articoli a cui ero interessato, procurato i contatti per trattare con i proprietari ancora in vita, dato tutte le informazioni del caso, e ti giuro, e io non giuro mai a vuoto, che non ricordavo che nell’accordo rientrasse il fatto che tu avresti dovuto collaudare i pezzi; questo tu lo hai collaudato, e lo hai risistemato malamente, perché non sei un tipo ordinato, vero? Dimmi, ti sei divertito mentre andavi su e giù con questa? Dove l’hai provata?”

Cercò di rispondere, ma i singhiozzi rompevano la sua voce, chiuse gli occhi e tentò di piagnucolare qualcosa:

“Al… al centro commerciale…. La n..no…notte…”

“Ah! Al centro commerciale? La notte: con questo colore argentato estremamente mimetico, e con la vigilanza che girava: chissà in quanti ti hanno visto. Sei bravo con i pattini?”

“No… ma… ma… perché me lo chiede? E poi… non… n…non mi ha visto nessuno.”

“Te lo chiedo perché dagli appunti che mi hai passato, credo che sia la sensazione più vicina che gli si possa attribuire per descrivere la sensazione provata a scivolare via a un centinaio di kilometri orari con questa indosso. Ti stava bene? Era della tua taglia? Forse ti andava un po’ larga, sbaglio? Dici che non ti ha visto nessuno? Vista la tua affidabilità mi viene spontaneo crederti sulla parola. Sai, delle volte mi chiedo, se sono io che pretendo troppo dal mondo, se chiedere un po’ di correttezza nei rapporti sia chiedere il paradiso o cosa.”

“Aspetta… aspetta! Perché mi guardi cosi? Che cosa vuoi fare?”

Ripose la tuta nella valigetta, la chiuse, e cominciò a camminare verso di lui, e quello tremò, come una foglia, mentre quei lenti passi divenivano i passi del boia che si avvicinavano sempre di più.

“Il collaudatore! Era questo quello che magari ti sarebbe piaciuto fare nella vita, ma non era questo il momento per cercare di realizzare il tuo sogno.”

Lui si voltò e tentò di scappare, una sagoma scura gli si parò improvvisamente innanzi, ma riuscì ad evitarla per un soffio.

Sentì la speranza tornare nel suo cuore, e desiderò poter fuggire da lì, e dimenticare ogni cosa: quella era la sua chance, la possibilità di ricominciare tutto daccapo. Qualcosa lo afferrò alle spalle, forse l’ombra, e lo spinse con forza verso il bersaglio con le freccette, la guancia sbatté violentemente contro il legno, e sentì un bruciore diffonderglisi sul viso: cadde in terra, uno zigomo, la mascella e l’arcata sopraccigliare devastate, rotte, le lacrime che scendevano copiose, e si mischiavano con il sangue, la sensazione di stordimento che ormai lo stava sprofondando nell’oblio.

Strisciò lungo il pavimento, tentò pateticamente di rialzarsi, finì con le spalle al muro, il locale che gli girava tutto intorno: le due figure avanzavano verso di lui, e cercava di coprirsi il volto con le braccia;

“Ti avevo pagato bene, molto più di quanto meritassi, mi ero fatto spillare anche dei soldi in più per pura generosità, passando sopra al fatto che eri uno schifoso pidocchioso ex delinquente. Voglio dire, pensi che non sia stato generoso con te?! Eh?! Pezzo di stronzo, dimmi, pensi che non sia stato sufficientemente generoso con te?!!?”

“Non tirarla per le lunghe, e fallo fuori.”

Disse una terza voce.

“Tu non ti immischiare!!! So io come si tratta questa feccia!”

“Fai quello che vuoi, ma sbrigati, abbiamo affari da trattare!”

L’altro sbuffò, alzò le spalle, e dette un’ultima occhiata di disprezzo alla direzione del poveraccio ormai completamente in preda all’isteria.

 

 

Casa di Hobie Brown – Ore 10.00 a.m.

 

 

Abe era trafelato per la corsa fatta, e quando entrò Mindy se ne avvide subito, invitandolo a tranquillizzarsi e riprendere un attimo fiato, rassicurandolo sulle condizioni di salute del fratello.

“Non ti nego la mia preoccupazione, ma poteva andare peggio, quella gang poteva fargli davvero male…”

Lui rimase per un istante interdetto, capendo che alla moglie aveva dato un’altra versione dove era stato omesso il Demone, perciò non disse nulla, e si limitò ad assentire a quanto gli stava dicendo la cognata.

La seguì fin nella stanza da letto, dove Hobie lo attendeva, schiena appoggiata ad un cuscino, le braccia conserte, la culla con i gemellino i fianco un sorrisetto furbo stampato sulla faccia.

“Scusa se ti ho fatto precipitare qui, ma avevo voglia di fare quattro chiacchiere con te, a proposito di quelle modifiche che volevo introdurre nel costume di Prowler, vorrei una consulenza su quelle nuove armi pneumatiche di cui ti parlavo.”

Mindy lo guardò severamente, e lui le fece l’occhietto, cercando di rabbonirla: lei si limitò a sbuffare, come quando si ha a che fare con un bambino irrequieto; uscì dalla stanza per lasciare i due fratelli parlare tra di loro.

“E così vedo che non hai raccontato a tua moglie la verità.”

“Le ho dato solo una versione leggermente ritoccata dei fatti.”

“Questo si chiama mentire.”

“Questo si chiama salvaguardare la propria tranquillità domestica e non guardarmi con quella faccia. Qui, dei due, sono io quello che ha più esperienza. Se fossi sposato anche tu e ci tenessi solo la metà di quel che ci tengo io a mia moglie, capiresti.”

“Pensavo che a chi si amava bisognasse sempre dire la verità.”

“Te l’ho detto, si vede che hai scarsa esperienza.”

Abe lo guardò contrariato e scosse il capo.

“Guarda come ti ha ridotto e sono sicuro che non vedi l’ora di tornare alla carica per prenderne altre.”

“Grazie mille per l’incoraggiamento.”

Fece Hobie in tono ironico.

“Di nulla. Sai benissimo che è la verità. Da quando ti sei rotto la schiena partecipando a quell’assurdo Grande Gioco, insieme a quell’altro svitato del tuo amico Rocket Racer, non sei più lo stesso. Non ti sei mai ripreso completamente e hai perso parecchia della tua agilità.”

“Eppure agli ultimi allenamenti, ti ho tenuto testa.”

“Agli ultimi allenamenti, ci sono andato piano perché non volevo farti davvero del male. Inoltre, credo che anche dentro di te sia cambiato qualcosa. All’inizio sembrava che tu ti fossi finalmente deciso a farla finita con questa storia di Prowler ma poi hai dovuto ricominciare, come se avessi qualcosa da dimostrare a te stesso o agli altri.”

“Abe, forse è vero che dopo l’incidente ho sentito il bisogno di dimostrare che ero ancora in grado di essere come prima ma questa volta ti stai sbagliando.”

“E allora perché ti stai ostinando? Hai visto bene che quel tipo non scherza! Non sei alla sua altezza!”

“Una volta una persona che rispetto molto e a cui devo tanto, mi disse una frase che non ho più scordato: da grandi poteri derivano sempre grandi responsabilità. Credo di averne capito il profondo significato solo di recente ed ho deciso che questo è l’insegnamento che voglio dare ai miei figli. Ognuno di noi deve agire sempre responsabilmente e con la consapevolezza che ogni propria azione ha un peso ed una conseguenza. Io so com’è il Demone, so di cosa è capace. Fermarlo è mio preciso dovere. Forse ho sbagliato approccio ma ho già in mente un paio di idee e sono sicuro che riuscirò a prenderlo con il tuo aiuto.”

“Il mio? Hobie, non vorrai mica coinvolgermi in questa storia di pazzi mascherati.”

“Troppo tardi, ne sei già coinvolto. Lo sai che avresti dovuto farti una doccia prima di venire qui? Il tessuto del tuo costume è sintetico ed è parecchio aderente. Inoltre ti ha lasciato un paio di pelucchi sulla testa, tra i capelli. Credo che ormai ti dovresti trovare un nome di battaglia.”

Abe lo osservò rimanendo qualche secondo in silenzio e poi i due scoppiarono a ridere insieme.

“Va bene, è vero, lo confesso. Sono andato in perlustrazione. Fratellino, purtroppo non posso dissuaderti dai tuoi intenti, però posso prometterti che non sarai mai solo nella tua assurda crociata mascherata contro il crimine.”

“Non potrei desiderare compagno migliore! Ed ora fammi un piacere, leggi questo… ti ricordi Joel Stonetrower?”

“Il tuo amico poliziotto?”

“Anche lui ha avuto a che fare con il Demone qualche settimana fa. Si è interessato al caso dopo averlo avvistato che lottava con quello che si fa chiamare Ragno Nero. Ha messo insieme un po’ di informazioni riunite in questo fascicolo. Leggi, è parecchio interessante.”

Prese dal cassetto del comodino di fianco al letto alcuni fogli stampati, tenuti insieme da una graffetta e glielo passò. Abe lo sfoglio e lesse con attenzione, la sua attenzione assorbita per una ventina di minuti buoni da quelle parole. Tornò a fissare il fratello e parlò:

“E così questo bastardo avrebbe colpito i Jong?”

“Come sai un mesetto fa hanno dato il via ad una sanguinosa escalation per arrivare al controllo del malaffare qui nella Mela. Quei dannati hanno eliminato il clan dei Gambino e sembravano destinati a non fermarsi poi però hanno subito una battuta d’arresto e si sono ritrovati in stallo per via del fatto che si erano messi contro tutta la malavita locale. Facendo così ha dato di nuovo fuoco alla miccia e i vecchi del clan prima hanno iniziato un’epurazione interna per eliminare possibili traditori ed ora si stanno di nuovo mettendo in moto per contrattaccare ogni possibile nemico.”

“Era quello che voleva secondo te?”

“Reinnescare la bomba? Certo! Vuole fomentare una guerra tra bande così che si facciano fuori a vicenda ma sembra non fregargli niente che di mezzo ci stiano andando degli innocenti.”

 

Mindy aveva ascoltato tutto. Anche se i fratelli Brown avevano parlato sottovoce, i loro discorsi gli erano giunti piuttosto chiaramente mentre preparava il caffè. Sapeva che Hobie non avrebbe mai abbandonato il suo alter ego Prowler. Lo aveva capito da quando aveva cominciato a fare il giustiziere mascherato e del resto lei si era messa da tempo l’animo in pace. Per questo non seppe spiegarsi come mai le lacrime scendevano lungo il suo viso rigandolo.

 

 

Nei pressi dell’appartamento di Felicia. -  Mercoledì ore 2.00 a.m.

 

 

Era rimasto a fissarla a lungo, come ipnotizzato la sagoma di Felicia che si muoveva dietro il vetro della sua camera. Si sentì un po’ un guardone e sperò vivamente che se mai l’amica l’avesse scoperto non se ne sarebbe avuta a male. Da quando aveva saputo che il Demone se l’era presa con lei non si sentiva tranquillo nel lasciarla sola. Si rannicchiò appoggiandosi di fianco al gargoyle di grigia e fredda pietra, suo silenzioso compagno in quella tarda ora della notte. Aveva provato a contattare Patricia durante il pomeriggio, dopo essere stato da M.J. ma ogni volta che lei tirava su la cornetta, lui riagganciava nel timore di una sua reazione negativa.

“Bella mossa Kaine! Non solo stai facendo il guardone ma sei anche un maniaco telefonico! Che bella carriera che hai fatto, considerando che una volta eri un volgare assassino psicopatico. Si disse scherzandosi E a proposito del passato, devo decidere cosa fare con Darren. Mio Dio! Chi poteva immaginare che lo avrei mai rivisto. Sta succedendo qualcosa alla mia materia grigia. Pensavo di essere completamente guarito ma evidentemente non è così. La mia memoria fa cilecca, prima di risentire la sua voce mi ero completamente obliato della sua esistenza. Non posso crederci! Dopo tutto quello che è successo. Come vorrei sentire Peter, o Ben. Avrei bisogno di raccontare la cosa a qualcuno. Con Mary Jane non posso, non voglio caricarla di ulteriori problemi visto quello che sta passando ultimamente, Felicia idem e Rucker… gli ho già chiesto aiuto per il caso di Chester Fawcet. A proposito, il bastardo è completamente sparito ed io sono sicuro che tra lui è il Demone, sempre che non siano la stessa persona esista un legame.”

Il senso di ragno gli suggerì cosa fare in pochi istanti. Si lasciò cadere nel vuoto, evitando che il proiettile lo colpisse, conficcandosi invece nella facciata dell’edificio.

Il Demone rimase interdetto. Era sicuro che non poteva essersi accorto della sua presenza e il silenziatore era un ulteriore garanzia. Reclinò la testa di lato, piuttosto preoccupato del fatto che non riusciva più a scorgerlo, neanche con le sue speciali lenti all’infrarosso. Teneva la canna della pistola alzata e da essa ne veniva una sottile striscia di fumo che si disperdeva rapidamente nell’aria.ta_______________________________________________________________________________________________________________ (ta? E perché le righe?)

“Buh.”

Il Demone si voltò un rapidamente e riuscì solo a scorgere un guizzo che si confuse subito con le ombre.

“Buh.”

Si girò su sé stesso, sferrando un pugno a frustrata ma colpì solo l’aria. Si sentì bruciare lo stomaco per effetto delle nocche che affondarono con forza anche attraverso il costume corazzato. Sputò sangue nella sua stessa maschera e arretrò arrancando.

Ragno Nero stava lì, posizione bassa, il braccio ancora proteso.

“Quando voglio nascondermi nella notte, nessuno è in grado di vedermi. Questo vale anche per te.”

Lo ammonì con tono spiritoso.

“Credevo di prenderti di sorpresa.”

“Volevi sorprendere uno dei più antichi predatori che esista sulla faccia della Terra? Se mi chiamo Ragno Nero un motivo ci sarà.”

“Ti chiami anche Abel Fitzpatrick…”

“Ho avuto tanti nomi e conoscere questo non ti darà tutto questo gran vantaggio che credi. Allora, posso cominciare a pestarti di brutto, o vuoi dirmi qualcosa prima? Magari preferisci arrenderti senza combattere? No, credo proprio di no. Ti ho mentito. Spero di no perché ho troppa voglia di romperti tutte e due le gambe.”

Senza dire niente il Demone estrasse un pugnale Smith & Wesson a doppia lama e tentò di infilarglielo nella gola. Il Ragno rimase fermo fino all’ultimo, scattando all’indietro, piegandosi quasi le sue articolazioni fossero gomma e con grande stupore dell’altro l’arma gli passò a pochi millimetri dal volto. Gli prese il polso, afferrandolo con forza e lo tirò, spingendolo verso il parapetto, usando la sua forza cento volte superiore a quella umana. Il Demone arrivò quasi a cadere ma Kaine spiccò un balzo, compì una rotazione nell’aria e ne arrestò la corsa semplicemente tendendo il braccio. Fu come finire contro un tornello d’acciaio della metropolitana e sentì tutte le ossa dentro che vibrarono per effetto del colpo subito allo sterno. Tossì, il pugnale caduto a un metro di distanza, le mani puntate in terra.

“Ma bravo… koff… non mi aspettavo tanta risolutezza nell’affrontarmi…”

“Puoi essere bravo ed addestrato quanto vuoi ma c’è troppa differenza di forza tra di noi perché tu possa vincermi in uno scontro diretto. Non hai spazio dove fuggire o per grandi manovre e ti rimane solo il corpo a corpo.”

Tentò di prenderlo con un pugno diretto alla mascella, scattando come una molla verso l’alto ma ancora una volta Ragno Nero schivò l’attacco e ricambiò piantandogli il ginocchio nell’addome già martoriato.

Il Demone cadde in ginocchio, tossendo pesantemente.

“Dimmi. Sei Chester vero?”

“E se anche lo fossi?”

“Perché tutta questa pagliacciata? Entrare nell’agenzia di Felicia, fare la parte del detective modello, persino lecca culo, ingraziartela e poi attaccarla.”

Il Demone emise una risatina squillante e divertita. Un trillare maligno che provocò un brivido persino in Kaine. Alzò il capo e guardò negli occhi l’avversario.

“Ti senti bravo, nevvero? Ti senti forte, pulito, eroico quando torni a casa, ti togli la pelle del Ragno Nero e torni ad essere uno come tanti. Ti guardi allo specchio e ti lodi per la tua bontà, per il tuo senso di responsabilità e ti dici che stai facendo la cosa giusta: stai adempiendo ad una missione. Ma la verità è che non c’è nessuna missione. Non c’è mai stata, né mai ci sarà. Nessuno ti è venuto a chiamare, nessuno ti ha chiesto niente. Tutto quello che hai fatto fino ad adesso è stata una tua libera scelta. Ti odio. Odio te e tutti i tuoi maledetti amici. Vi atteggiate a grandi salvatori della Terra e della Civiltà, i portabandiera dei suoi più alti valori etici e morali ed invece siete solo degli egoisti che si vogliono sentire in pace con quella parvenza di coscienza che si portano dentro e intanto vogliono  prendersi le loro personali rivincite contro il Mondo. Allora, Ragno Nero? Qual è il grande dramma della tua vita? Chi è il fantasma che ti perseguita? I tuoi genitori? La tua fidanzata? Il tuo migliore amico? Quale ingiustizia hai subito? Cosa hai visto di questa realtà che ti ha tanto turbato? Potrei accettare tutto quello che fate se non fosse per la vostra falsità. Ipocriti! Volete far credere a tutti che c’è qualcosa da salvare, quando in verità tutto è perso. Non c’è nulla di salvabile, tutti sono stati già dannati al momento della loro nascita e nessuno di loro è innocente. Nemmeno voi così detti eroi.

Sono Chester Fawcet? E’ solo un nome e un volto come tanti, non conta niente che io sia o no davvero lui, esattamente come non conta se tu sia o meno Abel Fitzpatrick. Sono il Demone e sai perché faccio tutto questo? Perché mi piace!”

Ragno Nero schizzò all’indietro con un unico balzo, atterrando sulle mani e dandosi la spinta per finire sul bordo del tetto dove si portò in posizione accucciata. Il cecchino che aveva sparato il colpo poteva trovarsi ovunque, sicuramente sulla sua destra perché era da lì che aveva avvertito il pericolo, ma la potevano essere centinaia di metri di distanza per quel che ne sapeva.

Il Demone balzò superbo, nonostante le ferite, compiendo una ruota che portò il suo tallone a colpirgli l’avambraccio dall’alto verso il basso. Kaine avvertì dolore e scartò di lato. Erano tutti e due lì, sul bordo dell’abisso che si fronteggiavano. Il successivo colpo che si piantò a pochi cm dal suo piede lo avvertì che non poteva indietreggiare ulteriormente. Il Demone aveva recuperato il pugnale e dondolava gioiosamente avanti ed indietro,quasi fosse preda di una sorta di selvaggia libido.

“Non è leale farsi aiutare da qualcuno.”

“Te l’ho detto. Io odio l’ipocrisia. Non ho mai millantato di essere un eroe senza macchia né paura. Io sono un bastardo, e della peggiore specie.”

Fendette l’aria con la lama, descrivendo degli archi sempre più stretti man mano che si avvicinava, giocando tutto sull’agilità del polso e muovendo di continuo il busto per cambiare l’angolazione dalla quale avrebbe potuto colpire. Kaine era consapevole della sua eccezionale bravura con quell’arma e che disarmarlo sarebbe stata un’impresa difficilissima. Un pugnale era sempre pericoloso, anche quando fosse stato in mano ad uno stupido o si fosse stati in possesso di agilità e forza ragnesche. In mano al Demone e sotto minaccia di un misterioso tiratore poi la cosa si complicava ulteriormente. Bloccò un fendente e tentò l’affondo.  Il suo braccio descrisse un semi cerchio dall’esterno verso l’interno e il dorso della sua mano deviò l’arma che comunque lacerò il fianco sinistro. La spinta portò il braccio del demone verso l’alto e ne approfittò per saltare e portarsi alle sue spalle. Gli riempì la mano di fluido grigio, rendendo così inoffensivo il pugnale.

“Sapevo che saresti venuto qui, Demone. Sapevo che prima o poi ci saresti cascato ma devo ammettere che ti avevo sottovaluto. Non credevo che avresti previsto la cosa e ti saresti preparato di conseguenza.”

Il Ragno Nero si era bloccato. Sapeva che alle sue spalle c’era un altro cecchino che lo teneva sottomira. Quanti erano? Per il momento due. Due aiutanti di quello psicopatico che finora non gli aveva rivelato nulla di sé o delle proprie reali intenzioni.

Il Demone eseguì un calcio rovesciato che colpì alla mascella il Ragno che non si lasciò cadere giù smettendo di aderire alla superficie sulla quale si trovavano.

 

“D-1, ho perso il contatto visivo con il nostro bersaglio.”

“D-2 non devi preoccuparti. Non è colpa tua. L’amico è bravissimo a giocare a nascondino nella notte. E’ ancora qui, ne sono sicuro ma non proverà a seguirmi. Disse indicando in direzione della finestra di Felicia, dove ancora si intravedeva la sagoma della ragazza allenarsi e mimando il gesto della pistola che sparava. Nossignore. Ha capito l’antifona. Rimanete sul bersaglio Hardy finché non mi sarà allontanato di un paio di chilometri. Se vi accorgete di qualcosa, sparatele.”

“Roger D-1.”

Il Demone rise sguaiatamente e quel suono stridulo e al contempo macabro si perse nella notte insieme ad un avvertimento sussurrato:

“Siamo ancora all’inizio. Il gioco è ben lungi dall’essere terminato. Alla prossima amico mio.”

Detto questo, sparì nelle tenebre.

 

 

 

Appartamento di Kaine. – Ore 7.00 a.m.

 

 

Si lasciò cadere sul letto facendolo scricchiolare, desideroso solo di potersi lasciare andare al sonno. Voleva dormire, abbandonarsi al sonno e sganciarsi per qualche ora dalla realtà. Il Demone era un mostro d’astuzia ed era riuscito a prevedere la sua trappola. Era davvero Fawcet? Poteva esserne assolutamente sicuro? E Fawcet chi era per davvero? Cosa voleva, o cosa volevano da lui, dalla Hardy Investigation, da Felicia. Perché il Demone aveva voluto attaccare i Jong innescando la loro reazione. Doveva riflettere, ripercorrere mentalmente la pista seguita, fino ad arrivare alla verità. Le domande. Doveva porsi le giuste domande invece di cercare a tutti i costi le risposte. Si trovava in quello stato di dormiveglia in cui la mente, libera dai legami della coscienza vagava senza pesi per i territori della libera associazione. Quando hai incontrato il Demone per la prima volta? Si chiese. Russ Apenzel! Fu la risposta che si dette. Era un caso? Chester Fawcet ti stava seguendo per ordine di Felicia. Era un caso? Il Demone è uno che si prepara bene la scena. Fawcet compare con un curriculum di tutto rispetto e prova di essere un pedinatore eccezionale. Felicia lo sceglie per tenerti d’occhio. Un caso? Forse no. Ma allora lui non sapeva che tu eri Ragno Nero, deve averlo scoperto poi facendo dei controlli. Stavi lavorando a dei casi? Forse ce ne era qualcuno che gli interessava in cui, magari era collegato a tua insaputa Apenzel…

Quelle parole gli morirono nella testa quando l’insistente richiamo del campanello lo riportò alla realtà. Si infilò un paio di jeans sopra il sotto del costume che ancora indossava e si precipitò ad aprire. Aveva gettatoun’occhiata alla sveglia, che segnava le 8 del mattino. Pensò potesse trattarsi di Rucker, o Mary Jane o Felicia…

“Patricia!”

Esclamò sorpreso quando vide la ragazza alla porta.

“E’ la seconda volta che capito così a casa tua, senza preavviso.”

Kaine si girò istintivamente per dare un’occhiata al suo appartamento. Il caos regnava sovrano ma non voleva giocarsi l’opportunità di parlare con la ragazza per una questione di stile.

“Coraggio, entra pure e non preoccuparti. Posso offrirti un caffè? Non credo che sia buono come il tuo ma non è neanche malaccio.”

Patricia lo seguì senza dire una parola. Kaine prese la macchinetta del caffè e quando si girò vide che lei gli osservava il fianco. Si dette dello stupido perché si era accorto solo in quel momento di essersi presentato senza una maglietta, a petto nudo, con la medicazione alla ferita inflittagli dal Demone bene in vista. Patricia, sfiorò con mano tremante la fasciatura.

“Ascolta. Io posso spiegarti…”

“Shhh… non sono qui per avere delle spiegazioni. Sono qui perché mi hai chiamata tu.”

“Cosa?...”

“So benissimo che eri tu a riattaccare quando tiravo su la cornetta. Non avevi il coraggio di parlarmi. Ed io non  avevo il coraggio di ammettere con me stessa quanto tu sia divenuto importante nella mia vita, anche se dopo così breve tempo. Da quando è morta mia zia, tu mi sei sempre stato vicino, e hai saputo essere meraviglioso. Sei un uomo eccezionale Abel, anche se di te so pochissimo.”

Le loro labbra si ritrovarono ad essere vicine e i loro respiri, in un istante, divennero uno.

Rimasero così diverso tempo, quasi il mondo circostante non esistesse più.

“Patricia… Disse senza sapere dove aveva trovato la forza di volontà di interrompere quel dolcissimo bacio io non voglio mentirti. La mai vita è…”

“Ho detto shh… lo rimproverò dolcemente lei non voglio risposte. Non  oggi. L’unica cosa che ti chiedo è di avere un po’ di pietà per il mio mento…”

“Eh?”

Solo allora s’accorse di come si era arrossato.

“La tua barba è bella e ben curata ma non va molto d’accordo con la mia pelle…”

Disse lei sorridendo timidamente. Kaine rise, e la strinse a sé.

“Allora la mia Signora verrà subito accontentata.”

Si diresse verso il bagno e si voltò un istante prima di entrarvi.

“Anche tu sei importante per me. Più di quanto avrei mai creduto. Non so cosa ci riserverà il domani. So solo che voglio stare con te, per sempre.”

Detto questo entro mentre Patricia non riusciva a staccare lo sguardo dalle sue spalle e sorrideva pensando che erano proprio quelle le parole che aveva sperato sentirsi dire.

 

 

 

Fine dell’episodio.

 

 

Per commenti, osceni o meno che siano, scrivete a Spider_Man2332@yahoo.it

 

Grazie al mio Amore per l’ispirazione e l’incoraggiamento e… scusa al suo mento per le torture a cui viene sottoposto dal sottoscritto!

Grazie al Grande Frank Webley, uno di quelli che dovrebbe scrivere sul serio e che di talento ne ha tanto, e anche di pazienza, almeno con il sottoscritto.

Grazie a Mickey mentore ed esempio guida, che mi propose di prendere in gestione il personaggio diversi mesi fa!

Grazie a Victor per la sua amicizia e il suo tempo. Grazie a Gambitto per il sostegno.

Grazie a Carlo per le belle parole e i consigli.

Grazie a Valerio per il lavoro sull’U.R.

Grazie ai lettori, veri protagonisti di Marvelit!

Un saluto a tutti.